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Intervista a Cynthia Zazzarini, Area manager in ESA Automation

5 maggio 2024
Intervista a Cynthia Zazzarini, Area manager in ESA Automation

Laureata al Politecnico di Milano in Ingegneria Biomedica, ha iniziato la sua esperienza lavorativa all’interno del reparto di Ricerca per l’Innovazione di Loccioni. La sua formazione tecnica insieme alla sua curiosità verso la creazione di nuovi business, le ha aperto la strada verso una carriera nelle vendite in Festo e successivamente in Hiwin. Da ottobre del 2023 è Area Manager in ESA, azienda multinazionale di proprietà italiana che offre al mercato dell’Automazione Industriale una gamma completa di prodotti di eccellenza, tra cui PC industriali, sistemi HMI, sistemi di controllo e teleassistenza, drive e motori ed infine soluzioni robotizzate chiavi in mano. Da due anni è diventata madre di un bambino e questa nuova sfida le sta dando un nuovo slancio per migliorarsi come persona e come professionista.

Fai parte dell'area manager di Esa Automation, una realtà internazionale che realizza soluzioni di automazione industriale. Da sempre hai la passione per i lavori pratici, difatti hai ricoperto ruoli nell'area tecnica di diverse aziende che come la tua forniscono tecnologie per l'industria manufatturiera. Venendo a contatto con queste realtà come pensi si stia muovendo il mercato dell'automazione?

Il mercato dell’automazione è in costante evoluzione ma ha delle basi molto solide che dopo anni rendono i suoi connotati ancora molto riconoscibili e caratteristici. Ho iniziato a lavorare dopo la crisi del 2008/2009, più precisamente nel 2012. Ho assistito a sbalzi violenti in positivo e negativo in alcuni momenti storici che tutti conosciamo. Da un lato si vive in un clima di incertezza a cui si va a sommare la crescente preoccupazione della concorrenza asiatica. Dall’altro lato però, il mercato si presenta in solida crescita perché cavalca un trend che non è destinato ad arrestarsi: l’automatizzazione dei processi di produzione industriale.
L’utilizzatore finale, nel nostro caso la manifattura, per mantenere una competitività elevata alza continuamente l’asticella all’OEM che deve essere in grado di migliorare costantemente la sua offerta. Questa corsa alla macchina sempre più performante e tecnologica sta diventando a tratti frenetica ed alienante e a volte faccio fatica a distinguere quali siano novità interessanti e quale sia solo fumo negli occhi. Per orientarsi meglio ci si confronta ma non sempre sappiamo immaginarci dove ci porteranno le novità. Molte delle tecnologie che sembravano all’avanguardia un decennio fa su cui si è dibattuto parecchio, ad es. i Cobot, ormai si stanno consolidando quando all’inizio erano in pochi a crederci.
In SPS Norimberga ho visto due cose che sono riuscite a colpirmi. La prima è stata l’IA come ausilio alla programmazione software. Mi è sembrato di vedere una macchina che imparasse dalle persone a programmarsi da sola e mi ha fatto un certo effetto. Un altro concetto degno di attenzione è quello della Cybersecurity. In un momento come questo di forte ostilità, la fragilità dei nostri sistemi di produzione potrebbe diventare un cavallo di Troia da non sottovalutare.
Purtroppo dove non vedo molta evoluzione è l’apertura del nostro settore verso l’esterno. Restiamo sempre un po’ dietro le quinte. Questo ci penalizza da un punto di vista soprattutto occupazionale. La maggioranza delle aziende che visito, dalle più grandi alle più piccole, sono sempre sotto organico e questo rappresenta un grande freno alla crescita.

Spesso le donne operanti in settori ritenuti più maschili di altri soffrono della sindrome dell'impostore, che può essere considerata come una sorta di senso di inferiorità rispetto ai colleghi uomini. Dal canto tuo hai avuto un percorso estremamente positivo, in quanto ti sei sempre trovata a lavorare in ambienti collaborativi ed inclusivi. Pensi che qualcosa stia effettivamente cambiando a livello di parità di genere?

La sindrome dell’impostore, ma in generale la perdita di fiducia nelle proprie capacità, può portare la persona ad abbandonare le proprie mansioni lavorative oppure semplicemente impedirle di avvinarsi ad esse anche solo una prima volta. Purtroppo sono soprattutto le donne a soffrirne per la forte pressione sociale che subiscono più che per una mancanza di fiducia nelle loro capacità. A noi donne viene richiesto di essere molte figure insieme e quando non ci riusciamo mettiamo in dubbio il nostro valore e la nostra credibilità. Questo ha un effetto sia sull’occupazione che sulla parità salariale.
Il nostro settore è a prevalenza maschile, su questo non c’è dubbio. E’ altrettanto vero però che il livello di professionalità è molto elevato, l’Italia dell’Automazione rappresenta un’eccellenza a livello mondiale e lo scopo di tutti è mantenere alto questo livello. Se lavori bene il tuo valore viene riconosciuto indipendentemente dal fatto che tu sia donna, portatore di handicap, che tu provenga da una famiglia di contadini, che tu sia straniero o omosessuale.
Quando si tratta dell’argomento occupazione femminile, le aziende del settore riconoscono la loro difficoltà nell’aumentare le quote rosa per mancanza di candidature da parte delle donne. Esse non ambiscono ad una formazione tecnica e questo fatto lo riconduco ad una componente culturale e sicuramente non genetica. Dunque bisogna agire sulla cultura e sull’educazione.
Credo però che qualcosa stia cambiando. Come donna di questo millennio ho avuto la strada spianata e godo di privilegi, o semplicemente di diritti, che prima non erano scontati. Sono una donna in età fertile con un bambino molto piccolo ma questo non è mai stato un problema né per me né per i miei datori di lavoro. Eppure mi rendo conto che siamo ancora in poche ma siamo apprezzate e ben volute. Guardando alle nuove generazioni, sono sicura che vedremo una presenza femminile sempre più massiccia prima nelle scuole e poi nel mondo del lavoro.

Il settore dell'automazione richiede un elevato livello di competenze, il che rende la professione qualificante e specializzata. Nonostante questo le aziende del settore fanno molta fatica a trovare nuove figure da inserire e una delle ragioni è che i giovani non sono attratti da ciò che offre questo mondo, svalutandone la portata a livello di opportunità e crescita professionale. Secondo te qual' è la leva per attrarre le nuove generazioni?

Per i motivi accennati prima, i giovani non hanno molte possibilità di entrare in contatto con il nostro mondo. A meno che non frequentino scuole che già collaborano con le aziende, il nostro settore rimane piuttosto nascosto. Nell’immaginario comune la fabbrica è ancora quel luogo illuminato al neon in cui gli operai oppressi sono chini su una catena di montaggio ad avvitare bulloni. Chi è a conoscenza dell’esistenza di macchine automatiche, spesso poi non è consapevole del livello di tecnologia e di preparazione tecnica dei suoi professionisti.

Chi entra in questo settore poi difficilmente lo abbandona per tutta una serie di vantaggi che offre ma soprattutto perché ti appassiona. Veder girare una macchina sulla quale hai lavorato direttamente o indirettamente è una sensazione che non dimentichi. Servirebbe creare delle aperture, delle opportunità di incontro e di racconto per lasciar trasparire tutta questa meraviglia nascosta. In generale credo che in una società fortemente consumista come la nostra, sia quasi normale per un mercato prevalentemente B2B rimanere nascosti. Il grido delle B2C è talmente forte che anche i ragazzi più bravi e ambiziosi sognano di lavorare per Google, Tesla o per l’MIT.

Credo che sia molto importante dare la possibilità ai giovani di conoscere le aziende ed il mondo del lavoro molto prima di dover scegliere il percorso da intraprendere. Altrimenti hanno un’idea vaga piena di preconcetti che li conduce a scelte poco consapevoli.

Innanzitutto bisogna rendersi conto una volta per tutte che il modello del posto fisso è morto, non lo vogliono più né le aziende né i giovani. Si discute molto del modello della flexstability che consiste nella condizione del professionista di avere una stabilità lavorativa grazie alla sua capacità di adattarsi ai ruoli che decide di ricoprire. Il datore di lavoro diventa il nostro cliente e il nostro lavoro un servizio che mettiamo a sua disposizione per un tempo indefinito. Il nostro settore si presta bene a questa nuova visione del lavoro perché appunto è molto professionalizzante.

Ci tengo ad aggiungere anche che per arrivare a questo livello non serve per forza un titolo universitario. I giovani che si avvicinano a questo mondo hanno la possibilità di esprimere il loro massimo potenziale nelle aree tecniche, commerciali, manageriali e il titolo di studio diventa una questione secondaria. In un momento come questo in cui sempre meno famiglie riusciranno a mandare all’università i loro figli, questo settore offre un’alternativa concreta e promettente.

Tag tematici: Interviste e Editoriali She SPS Italia

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