Efficienza e performance possono far rima con bellezza?
È la domanda che devono essersi posti i soci della Fondazione Ergo, realtà che dal 2012 opera per supportare la diffusione in Italia del metodo MTM (Methods-Time Measurement), un sistema che stabilisce i tempi di esecuzione di un lavoro sulla base del metodo utilizzato per eseguirlo.
Si tratta di un sistema il cui ultimo obiettivo è far convivere, promuovendo una relazione positiva tra impresa e lavoratori, produttività e sicurezza. La Fondazione però ha fatto un passo in più, lanciando la certificazione BellaFactory.
Ne abbiamo parlato con Gabriele Caragnano, Direttore della Fondazione Ergo e responsabile della divisione Operations in PricewaterhouseCoopers.
Perché è nata l’iniziativa BellaFactory?
Nell’immaginario comune ancora oggi la fabbrica è associata a un luogo sporco, dove si eseguono operazioni noiose, ripetitive e in qualche caso pericolose. Una fotografia del genere non solo non è veritiera, ma non contribuisce neanche a rendere particolarmente attraente per i giovani la prospettiva del lavoro in fabbrica. Per questo abbiamo pensato di creare una certificazione, dandole un nome che spieghi chiaramente che in Italia esistono anche fabbriche dove è ‘bello’ lavorare.
In che cosa consiste il processo di certificazione?
A svolgere il lavoro sono i membri del comitato scientifico, professionisti indipendenti del mondo universitario, giornalistico e della consulenza che poggiano le proprie decisioni su standard internazionali riconosciuti. BellaFactory è un sistema di audit e certificazione volontaria basato sul sistema Best in Class Productivity Rating che certifica il modello operativo della fabbrica, prendendo in considerazione cinque fattori: la maturità del modello (insieme di regole, procedure, standard, KPI), il livello di produttività, la qualità del lavoro (l’ergonomia fisica e psicologica), la trasparenza delle relazioni industriali (coinvolgimento del personale, condivisione delle decisioni, formazione) e - non ultimo - la readiness sull’avvento della digitalizzazione.
A proposito di digitalizzazione, come valuta la readiness del Paese sulla manifattura digitale?
Con il Piano Nazionale su Industria 4.0 finalmente in Italia si torna a parlare di manifattura e di utilità della fabbrica. Ma purtroppo si sta dando troppo risalto agli aspetti di R&D, formazione e grandi innovazioni, che riguardano solo una piccola parte delle applicazioni, e troppo poco al fatto che alle aziende serve in realtà un modello operativo di riferimento. Non dimentichiamo la storia: le aziende che hanno avuto successo nella terza rivoluzione industriale sono quelle che hanno saputo capitalizzare e strutturare le conoscenze. Lo stesso deve succedere oggi: la digitalizzazione va inserita nel modello operativo delle aziende.
C’è un fattore chiave che le aziende dovranno tenere in maggiore considerazione?
Sicuramente la flessibilità, che va intesa in due aspetti: flessibilità verso il mercato e flessibilità verso i propri processi. Oggi l’obiettivo della mass customization è a portata di mano: le nuove tecnologie consentono di leggere in anticipo dove sta andando la domanda e bisogna avere la reattività necessaria a intercettare tempestivamente i cambiamenti. Essere flessibili però implicherà anche essere aperti. La tradizionale politica delle ‘porte chiuse’ che ha caratterizzato le nostre micro e piccole imprese non ha futuro... Le aziende devono rendersi disponibili a entrare in una logica di filiera.
Quale sarà il premio per le aziende?
Secondo una recente indagine PwC effettuata su più di 2.000 aziende nel mondo nei prossimi cinque anni le aziende che adotteranno strategie digitali più che raddiopperanno (dal 33% al 72%) e ci sarà un impatto positivo sia sulla riduzione dei costi sia sull’aumento dei ricavi in una misura vicina al 3% all’anno per ciascuno di questi due fattori.
Tag tematici: Industria 4.0 Digitalizzazione Made in Italy Manifattuirero
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