Responsabile della Transizione al Digitale dell'Agenzia Regionale per la Tecnologia e l'Innovazione, esperta nella progettazione di sistemi informativi complessi e di servizi digitali. Sara La Bombarda si occupa di trasformazione digitale della PA dal 2007 e crede che la strategia per andare sempre avanti stia proprio in questa parola: trasformazione. Un movimento continuo e incessante, fatto di prospettiva, analisi, progettazione, evoluzione, confronto.
Da diversi anni sei Responsabile per la Transizione Digitale presso ARTI Agenzia Strategica per la Tecnologia e l’Innovazione della Regione Puglia. In che modo sta variando il ruolo della donna nel tuo settore? Quali progressi culturali sono stati fatti e quali ancora da attuare?
Il mio è un settore che si configura come principalmente “maschile”, infatti negli ultimi anni sono state portate avanti numerose iniziative per stimolare in tal senso la partecipazione delle donne a percorsi di studi e specializzazioni professionali. Ma il ruolo che ricopro è singolare: il responsabile per la transizione al digitale ha compiti e responsabilità ben precise, è un ruolo trasversale in quanto la transizione digitale interessa tutti i settori della Pubblica Amministrazione. L’RTD deve dotarsi di un ufficio che esprime competenze tecnologiche e di informatica giuridica ma spesso si associa al ruolo del responsabile più una figura tecnica che manageriale, così come si identifica l’innovazione con la sola tecnologia. Personalmente ho una formazione classica e una laurea economica ma amo il mio lavoro e penso di portarlo avanti con pazienza nel migliore dei modi. In estrema sintesi è come se dovessi chiedere scusa due volte: per non essere un uomo e per non essere neppure ingegnere. Bisognerebbe maggiormente comprendere che la transizone digitale nella PA è un processo di profondo cambiamento, culturale innanzitutto, e che le tecnologie sono strumenti funzionali al raggiungimento dell'obiettivo imprescindibile di garantire i diritti di cittadinanza digitale.
Nel tuo comparto esiste un gap: la presenza attiva delle donne nei tavoli decisionali non è ancora percepita come una necessità ma sempre come un diritto da conquistare. In cosa la qualità della partecipazione rimane diversa?
Purtroppo spesso è ancora così. Ho vissuto in prima persona il disagio di sentirmi in dovere di dimostrare la legittimità di ricoprire un ruolo, ma ho avuto al tempo stesso la fortuna di lavorare in un contesto che mi ha sempre valorizzato e stimolato ad affrontare sfide sempre più grandi. Mi piacerebbe che fosse maggiormente percepito il valore della partecipazione delle donne, in quanto ritengo che la pluralità di punti di vista e di approcci differenti ai problemi e alle soluzioni sia un’opportunità da cogliere.
Equità è un processo ancora lento. La maggior parte delle donne fatica ad avere autostima delle proprie capacità. Come possono le donne sviluppare la propria identità e identificarsi in un modello più attuale?
Posso portare la mia esperienza personale: nel corso degli anni ho avuto molte dimostrazioni di apprezzamento del mio lavoro e delle mie capacità professionali e senza dubbio questi sono elementi che contribuiscono a rafforzare la propria autostima. Ma per affrontare la quotidianità lavorativa e le responsabilità ad essa connesse, ho puntato principalmente su due fattori: rafforzare le competenze e le relazioni umane. Per me infatti l’aggiornamento continuo, lo studio, la formazione specialistica sono elementi irrinunciabili per rafforzare la mia identità. Così come ritengo che il confronto, lo scambio, “fare rete” siano fondamentali per crescere ed evolvere. Per questi motivi ad esempio nell’ultimo anno ho promosso la partecipazione di tutti i colleghi di ARTI al progetto Syllabus per le competenze digitali e abbiamo formalizzato una relazione molto stimolante e costruttiva con gli RTD regionali delle altre Agenzie Strategiche e Inhouse.
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